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lunedì 16 gennaio 2023

ATTUALITA': Libera esprime soddisfazione alle Forze dell'Ordine per la cattura di Matteo Messina Denaro

A trent’anni dall’arresto di Totò Riina, la storia si ripete e viene catturato Matteo Messina Denaro. Il capomafia trapanese condannato all'ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell'acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del '92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del '93 a Milano, Firenze e Roma.

In questa occasione Libera non può che esprimere soddisfazione per il lavoro svolto dalle Forze di Polizia e dalla Procura, che per tanti anni hanno inseguito il latitante. Tuttavia, come ricorda don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, la preoccupazione è quella che gli errori commessi in seguito all’arresto di Riina e di Provenzano si ripetano, e soprattutto che si pensi di avere sconfitto una mafia solo perché il capo è stato arrestato. Come riporta don Ciotti: “[…] Le mafie non sono riducibili ai loro ‘capi’, non lo sono mai state e oggi lo sono ancora di meno, essendosi sviluppate in organizzazioni reticolari in grado di sopperire alla singola mancanza attraverso la forza del sistema. Sviluppo di cui proprio Matteo Messina Denaro è stato promotore e protagonista, traghettando Cosa Nostra dal modello militare e ‘stragista’ di Riina a quello attuale, imprenditoriale e tecnologico capace di dominare attraverso la corruzione e il ‘cyber crime’ riducendo al minimo l’uso delle armi”. 

Quando parliamo degli arresti dei boss, è doveroso fare una riflessione sul perché sia stata possibile una latitanza così lunga. Come presidio di Libera sosteniamo che sia Riina che Provenzano che Messina Denaro siano stati spalleggiati da una rete. Una rete, alla cui base c’è una cultura dell’illegalità, nutrita da un clima di omertà. È infatti sul piano culturale che la nostra società continua, quasi inconsciamente, ad ostacolare l’estirpazione di questo fenomeno. E questo avviene su un piano nazionale, non solo locale; è qualcosa che interessa e coinvolge tutto il nostro Paese. Finché si continuerà ad approcciarsi al problema mafioso come a un problema emergenziale e non come a un problema culturale, strutturale del nostro Paese, i progressi non potranno che continuare ad essere relativi. Poiché la mafia è prima di tutto una cultura antidemocratica, per vincerla è indispensabile che tutte le cittadine e i cittadini facciano crescere una cultura opposta, fatta di democrazia e spirito critico. Serve una rivoluzione culturale, dal basso e dall’alto: cittadini, cittadine e istituzioni devono ognuno fare la propria parte.

Così come la mafia si organizza anche noi dobbiamo farlo, la mafia tesse relazioni che hanno portato a una presenza capillare su tutto il territorio italiano, e allora capillare deve essere la nostra presenza, l’antimafia. È fondamentale creare una rete che manifesti coerenza tra strategia educativa e abitudini di vita. Insieme ci dobbiamo assumere le responsabilità. Dobbiamo educare noi stessi e dobbiamo educare le future generazioni.

Il presidio Alberto Giacomelli di Imola e circondario di Libera


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