ASCOLTIAMO DON DOLINDO
Don Dolindo Ruotolo |
Le medicine sono un dono particolare di Dio, e fanno parte di una provvidenza paterna e misteriosa che appena appena s’intravede dai medici. Quando gl’Israeliti, avanzando nel deserto di Sur per tre giorni, giunsero a Mara, non potettero bere le acque che vi scaturivano, perché erano amare; Mosè pregò, Dio lo esaudì e gl’indicò un legno che, gettato nelle acque, le addolcì e le rese potabili. Questo miracolo ci manifesta come agiscono le medicine nelle nostre malattie. Occorre la preghiera, il rimedio per guarire, e l’applicazione del rimedio fatto per obbedienza. Mosè infatti pregò, ebbe il legno salutare e lo gettò nelle acque obbedendo a Dio. Se il medico dev’essere uomo di fede e di virtù, anche l’infermo deve stare unito a Dio, altrimenti è vano ogni rimedio. È una grande grazia che il Signore ci fa nell’indicarci con precisione quello che dobbiamo fare quando c’incoglie un malanno.
Quando si presenta un’infermità è facile il
disprezzarla e il non curarsene, nella speranza che sia cosa da
nulla. L’infermo non si mette mai o quasi mai in cura
immediatamente. Eppure la salute è un dono di Dio, e bisogna
custodirla, la malattia è un invito ad una maggiore familiarità col
Signore, e bisogna ascoltarlo; per questo il Sacro Testo ci esorta a
non trascurare noi stessi ed a pregare. Il primo dovere in un malanno
è quello di regolare subito la vita, in modo da facilitarle il
ritorno all’equilibrio, ed è il pregare perché Dio ci risani.
Occorre sì pregare con piena unione alla Divina Volontà, ma è
necessario pregare; perché anche questo è un atto di umiltà.
Bisogna poi allontanarsi dal peccato, raddrizzare le proprie azioni e
mondare il cuore da ogni delitto, ossia purificare subito la
coscienza con una buona confessione e con fermo proposito di non
cadere più nel peccato. Si noti bene: è una condizione per guarire
posta a noi da Dio stesso, ed è quindi un trascurare sé stessi il
non pensare prima di tutto a compiere questo dovere.
Anche dal
punto di vista patologico, la tranquillità della coscienza è un
grande segreto per riequilibrare le forze e per mettere l’organismo
nelle condizioni di reagire salutarmente. Bisogna poi offrire il
soave odore dell’incenso e il fior di farina in memoria di Dio,
cioè, per noi redenti, offrire il Sacrificio della Messa e fare la
Comunione, ricevendo il Pane del Cielo, il memoriale della Passione
di Gesù Cristo, in modo che sia perfetta la nostra oblazione, ossia
che la Confessione e la Comunione siano fatte in modo perfetto, per
quanto sta in noi. Dopo di questo, si noti, dopo, si dà luogo al
medico, perché allora esso ha i lumi da Dio, può dare il rimedio
salutare e in forza della sua medesima missione, pregare che il
rimedio riesca efficace. Il medico è necessario nel malanno; non può
allontanarsi dall’infermo perché spesso c’è bisogno dell’opera
sua; anche chi è restio a chiamare il medico, finirà per doverlo
chiamare quando il malanno è grave, ed anche non volendolo lui, ci
saranno gli altri che ci penseranno. L’infermo però è affidato
più alle preghiere che alle cure del medico, lo dice chiaro il Sacro
Testo, perché vale assai più la preghiera di uno mandato da Dio,
che il vano scervellarsi a voler diagnosticare i malanni e trovarvi i
rimedi.
I poveri medici scettici potranno ridere di queste sante
parole, padronissimi, ma non possono negare che la loro carriera
senza Dio non raccoglie veri frutti di consolazione e di vita; essi
per i primi infatti confessano di non capire nulla delle malattie,
vanno a tentoni, e quasi sempre complicano la situazione invece di
chiarirla. È l’esperienza giornaliera che lo dimostra. È inutile
illudersi: non si guarisce per il medico, ma per la grazia di Dio, e
quindi dove manca questa, il medico tenta invano dominare il malanno.
Ripetiamolo: nei malanni il medico e il Sacerdote debbono andare
sempre insieme, prima il Sacerdote e poi il medico. Il medico deve
comportarsi quasi fosse un Sacerdote, e questi dev’essere anche
come un medico, perché ha nelle mani il vero lenitivo dei malanni
gravi, l’Estrema Unzione, che agisce mirabilmente sull’infermo
per la sua preghiera, ossia per le formule sacramentali delle sante
unzioni. Il medico deve, diciamo, deve domandare prima di tutto il
concorso del Sacerdote e stabilirsi questo, proprio come un metodo di
cura, affinché l’infermo non s’impressioni stoltamente della
venuta del Sacerdote, e non se ne impressionino i congiunti. Anche
quando è giunta l’ultima ora, il Sacerdote non può fare che
renderla tranquilla e mitigarne le angosce, il che è tale
incommensurabile bene, ch’è un vero delitto privarne i poveri
moribondi.
Concludendo questa bella e divina esortazione
sugl’infermi, il Sacro Testo non senza ragione esclama che: chi
pecca al cospetto di Colui che lo ha creato, cadrà nelle mani del
medico. Il peccatore ostinato ed ingrato, non ha il conforto di
essere aiutato dal medico e dal Sacerdote, cade nelle mani del
medico, cade in balia di una scienza vacua, diventa vittima del
ciarlatano, non oggetto di cure del ministro della bontà di Dio. Per
i suoi peccati si ammala, e per i suoi peccati cade nelle mani del
medico, il quale non sa aprirgli le porte del conforto e della
speranza, perché senza Dio e senza il Sacerdote, è come un polo
negativo che da solo non può dare né luce né calore. I medici
potranno fare il volto arcigno quanto vogliono, ripetiamolo, potranno
dissentire quanto credono, potranno deridere quanto loro piace quello
che diciamo, ma non distruggeranno mai quest’armonia posta da Dio
nella cura di un malanno. Non si mutano le leggi supreme della
Provvidenza con una negazione da ebeti, né si fa luce con le fisime
del proprio ottenebrato cervello.
In un congresso medico tenuto in
Germania da medici, per loro vergogna miscredenti, fu constatato che
la S. Comunione aveva un effetto terapeutico sugl’infermi, benché
quelle povere teste annebbiate non sapessero spiegarlo. In realtà
era l’evidenza dell’ordine provvidenziale che s’imponeva anche
ad essi per la costante esperienza. Dio è geloso delle sue creature;
e se chiama i medici a curarle, non può e non sa abbandonarle a loro
stesse; vuole intervenire Lui, vuole consolarle, sanarle, salvarle
eternamente. Quando un medico presume di avere il monopolio della
salute prescindendo da Dio, il Signore lo confonde, ed allora il
povero scienziato diventa un ciarlatano, i suoi giudizi si fanno
confusi, le sue cure riescono inefficaci e spesso, spessissimo
letali. Il medico onesto non può adontarsi di questo che diciamo;
egli confessa la propria impotenza, si converte, ritorna a Dio, si
santifica e si pone nelle condizioni di rispondere alla missione
ricevuta dal Signore. Questo solo deve fare, poiché nel suo studio
non vi può essere come segno di celebrità la sua laurea, le sue
benemerenze o la tariffa vistosa di cento lire o duecento la visita,
ma il segno di Dio come in un Tempio, poiché il gabinetto del medico
è un vestibolo della casa dove il Signore dispensa le sue
misericordie.
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