Tommaso Ghirelli |
«Non
temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro,
problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al
primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua
avidità».
Cari
amici lavoratori, siamo disposti a fare nostre le parole con cui papa Francesco
ha sintetizzato la testimonianza di don Tonino Bello a venticinque anni dalla
sua morte? La celebrazione che ci raduna in cattedrale per partecipare
pienamente alla Giornata del lavoro renda anche tutti noi testimoni, oltre che
discepoli di Gesù Cristo, “l’uomo del lavoro”.
La
Chiesa è per vocazione a fianco di tutti i lavoratori, a partire dalla fase
della formazione al lavoro: pensiamo a tanti centri di formazione
professionale, ai primi contratti di apprendistato, alle associazioni e alle
cooperative di lavoratori cristiani, all’impegno per evitare la disoccupazione
e procurare il ricollocamento dei licenziati. Pensiamo anche alle scuole di formazione
sociale, all’insegnamento dei pontefici e degli episcopati nazionali. Anche
quest’anno, i vescovi italiani hanno diffuso un messaggio, che vi verrà
consegnato all’uscita. Nella Chiesa non è consentito campare di rendita, perciò
al termine di questa celebrazione ci attende una varietà di impegni, che
quest’anno possono venire riassunti nel progetto in collaborazione tra Diocesi
e Città Metropolitana “Insieme per il lavoro”.
Tutto
questo non per ricerca di prestigio e di controllo delle coscienze, ma come
riflesso dell’amore a Cristo, che unisce le persone nella loro unicità, al di
là delle differenze di condizione economica e sociale, impegnando chi sta bene
a praticare la solidarietà.
Abbiamo
bisogno di scendere frequentemente in noi stessi, per ritrovare il senso
dell’umanità. Ci aiuta oggi una frase di san Paolo, infaticabile non soltanto
come artigiano - fabbricava tende, secondo quanto raccontano gli Atti degli
Apostoli - ma anche come predicatore e guida delle nuove cellule del popolo di
Dio, la Chiesa. «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e
non per gli uomini - scriveva a queste comunità disperse nell’Asia Minore e
nell’Europa Orientale - sapendo che, quale salario, riceverete dal Signore
l’eredità».
Sapere
che la tua fatica non serve al profitto di una società anonima, al puro consolidamento
del capitale, ma addirittura alla gloria di Dio Creatore, ti dà la forza non
soltanto per continuare ma anche per sognare. Con il nostro lavoro, prepariamo
un mondo migliore, realizziamo un sogno. Come chi semina, sappiamo aspettare
che i risultati delle lotte per la dignità e la sicurezza del lavoro, i
risultati delle estenuanti trattative sindacali, si riproducano e si estendano.
E se vediamo spuntare le erbacce dei vari egoismi e della corruzione, non
facciamo finta di non vedere ma corriamo ad estirparle, perché abbiamo fiducia
che alla fine il raccolto ci sarà e la qualità dovrà essere soddisfacente.
Insegniamo
dunque ai giovani la pazienza e la dignità del lavoro, unita alla sobrietà
dello stile di vita. L’avanzare delle tecnologie non elimina in realtà la
fatica ma la sposta ad altri livelli e libera del tempo per altre attività.
San
Giuseppe, semplice artigiano di periferia, è stato elevato a patrono dei
lavoratori. Non solo la sua vita accanto al Figlio di Dio ne esalta la fede e
l’integrità morale, ma la stessa sua potenza di intercessore rende vantaggioso
il ricorso a lui, per ottenere delle raccomandazioni davvero valide.
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